articolo Benessere Estetica
Il ruolo femminista delle donne nella bellezza e nel fascino imposti nei concorsi di bellezza. Viaggio nella storia dagli albori di Miss America. freccemercoledì 2 ottobre 2013

I concorsi di bellezza da sempre sono stati attaccati dalle femministe, le quali ne criticano l’ostentazione del corpo. Il percorso di questo viaggio si snoda attraverso alcune battaglie e tappe fondamentali. Il concorso rappresenta un simbolo della concezione occidentale, ha origini antiche come il giudizio di Paride, che assegnò il premio alla Dea dell’amore. Tutta la tradizione greco-romana, nella bellezza e nello sport, si basa sulla glorificazione del corpo sensuale. Una giornalista nigeriana, che scrisse che il profeta Maometto avrebbe potuto sposare un’aspirante Miss Mondo, dovette lasciare il Paese dopo essere stata minacciata di morte dagli estremisti islamici.

Questo disastroso contrasto tra l’Islam fondamentalista e un concorso di bellezza ricorda bizzarramente l’episodio il quale per primo catapultò il femminismo contemporaneo all’attenzione del pubblico. Nel 1968 le “Radical Women” di New York, un gruppo di femministe militanti, realizzarono una spettacolare protesta: un teatro guerriglia contro il concorso di Miss America, un amatissimo rito nazionale. Ma per le femministe del 1968 i concorsi di bellezza furono scandalosi “mercati di bestiame” e, infatti, chiesero di porre fine alla “commercializzazione della bellezza”. Le virginali Miss America e le stuzzicanti modelle di Playboy vennero ridotte ai loro corpi da vetrina.

Dopo l’elezione della Miss, si lanciarono in una pattumiera della libertà i simboli dell’oppressione femminile: corpetti, reggiseno, scarpe con i tacchi alti, bigodini, ciglia finte, detersivi e copie di Playboy. Non venne bruciato nulla, perché la polizia negò alle manifestanti il permesso di accendere fuochi, bensì quel giorno nacque la leggenda delle “femministe che bruciano i reggipetto”: archetipo delle eroine dei nostri tempi. La maggior parte delle femministe degli anni 60-70 credeva che i concorsi di bellezza, visti come antiquati, frivoli e insultanti, sarebbero morti presto.

Di certo l’immagine della donna-bambina seminuda, sempre sorridente e con la testa vuota che passeggia e va su e giù davanti alla giuria, sarebbe scomparsa davanti a quella della donna ambiziosa, aggressiva, professionalmente articolata e ricoprente i ruoli di avvocato, medico, politico. Con sorpresa però i concorsi di bellezza si moltiplicarono. Il fatto incontestabile è che a milioni di persone, ricche o povere, piacque vedere una sfilata di bellezza. Sia per gli uomini sia per le donne, i concorsi di bellezza furono piacere puro: una festa pagana per gli occhi. L’attacco delle femministe alla bellezza si fece più duro negli anni 80. Riviste di moda come Vogue furono limitate, in quanto cospirazione per schiacciare l’autostima delle donne.

Pur ricevendo qualche critica di tanto in tanto, da queste aspre lotte ne uscì sempre indenne il Concorso nazional popolare di Miss-Italia. Nato nel 1939 con il nome di “5000 lire per un sorriso”, fu sospeso durante gli anni della II guerra mondiale e riprese subito dopo con l’attuale nome. Miss Italia con il trascorrere degli anni si aprì alle mamme, alle donne sposate, alle ragazze di colore cittadine italiane e vietò la partecipazione delle minorenni. Oggi, partecipare a un concorso di bellezza è diventato una prassi tra le più giovani: ragazze che si accalcano ai provini per cercare di sfondare nel mondo dello spettacolo attraverso il loro corpo.

La velina (oramai sostituita addirittura dal velino) è il modello di ragazza della porta accanto preferita da tutte le adolescenti che aspirano, un giorno, a esibire il proprio corpo. A volte gli stereotipi di donne proposte dai giornali e dalla televisione, inducono folle di giovanissime a credere che non si sia adatti alla società in cui si vive. E pensare che una volta le donne più belle erano quelle “più in carne”: come diremo oggi! Sembrerà retorico, ma ancora adesso, nell’epoca di Photoshop e delle foto “modello Facebook”,ossia bocca protesa in avanti e labbra chiuse nell’intento di simulare un bacio e gamba alzata all’indietro quasi a voler sembrare una pin-up, l’unica cosa importante è credere di essere belle dentro, prima che fuori.

Solo così arriverà all’esterno, anche un’immagine positiva del nostro corpo. Detto questo, allora, un concorso di bellezza, cercando di misurare la grazia, l’eleganza, il fascino, (è indubbio che anche attraverso altre prove si debbano misurare questi attributi), non degrada la donna; anzi, ne celebra il suo potere sessuale, ne esalta il mistero, mediante la valorizzazione di determinate caratteristiche estetiche, perché anche la bellezza si voglia o no è elemento legato alla nostra società, pur cercando sempre di evitare eventuali discriminazioni. Concludo dicendo, che Helene Rubistein affermò: “Non ci sono donne brutte, ma solo donne pigre.”

©  RIPRODUZIONE RISERVATA

Veronica  Otranto Godano - vedi tutti gli articoli di Veronica  Otranto Godano



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Questo disastroso contrasto tra l’Islam fondamentalista e un concorso di bellezza ricorda bizzarramente l’episodio il quale per primo catapultò il femminismo contemporaneo all’attenzione del pubblico. Nel 1968 le “Radical Women” di New York, un gruppo di femministe militanti, realizzarono una spettacolare protesta: un teatro guerriglia contro il concorso di Miss America, un amatissimo rito nazionale. Ma per le femministe del 1968 i concorsi di bellezza furono scandalosi “mercati di bestiame” e, infatti, chiesero di porre fine alla “commercializzazione della bellezza”. Le virginali Miss America e le stuzzicanti modelle di Playboy vennero ridotte ai loro corpi da vetrina.

Dopo l’elezione della Miss, si lanciarono in una pattumiera della libertà i simboli dell’oppressione femminile: corpetti, reggiseno, scarpe con i tacchi alti, bigodini, ciglia finte, detersivi e copie di Playboy. Non venne bruciato nulla, perché la polizia negò alle manifestanti il permesso di accendere fuochi, bensì quel giorno nacque la leggenda delle “femministe che bruciano i reggipetto”: archetipo delle eroine dei nostri tempi. La maggior parte delle femministe degli anni 60-70 credeva che i concorsi di bellezza, visti come antiquati, frivoli e insultanti, sarebbero morti presto.

Di certo l’immagine della donna-bambina seminuda, sempre sorridente e con la testa vuota che passeggia e va su e giù davanti alla giuria, sarebbe scomparsa davanti a quella della donna ambiziosa, aggressiva, professionalmente articolata e ricoprente i ruoli di avvocato, medico, politico. Con sorpresa però i concorsi di bellezza si moltiplicarono. Il fatto incontestabile è che a milioni di persone, ricche o povere, piacque vedere una sfilata di bellezza. Sia per gli uomini sia per le donne, i concorsi di bellezza furono piacere puro: una festa pagana per gli occhi. L’attacco delle femministe alla bellezza si fece più duro negli anni 80. Riviste di moda come Vogue furono limitate, in quanto cospirazione per schiacciare l’autostima delle donne.

Pur ricevendo qualche critica di tanto in tanto, da queste aspre lotte ne uscì sempre indenne il Concorso nazional popolare di Miss-Italia. Nato nel 1939 con il nome di “5000 lire per un sorriso”, fu sospeso durante gli anni della II guerra mondiale e riprese subito dopo con l’attuale nome. Miss Italia con il trascorrere degli anni si aprì alle mamme, alle donne sposate, alle ragazze di colore cittadine italiane e vietò la partecipazione delle minorenni. Oggi, partecipare a un concorso di bellezza è diventato una prassi tra le più giovani: ragazze che si accalcano ai provini per cercare di sfondare nel mondo dello spettacolo attraverso il loro corpo.

La velina (oramai sostituita addirittura dal velino) è il modello di ragazza della porta accanto preferita da tutte le adolescenti che aspirano, un giorno, a esibire il proprio corpo. A volte gli stereotipi di donne proposte dai giornali e dalla televisione, inducono folle di giovanissime a credere che non si sia adatti alla società in cui si vive. E pensare che una volta le donne più belle erano quelle “più in carne”: come diremo oggi! Sembrerà retorico, ma ancora adesso, nell’epoca di Photoshop e delle foto “modello Facebook”,ossia bocca protesa in avanti e labbra chiuse nell’intento di simulare un bacio e gamba alzata all’indietro quasi a voler sembrare una pin-up, l’unica cosa importante è credere di essere belle dentro, prima che fuori.

Solo così arriverà all’esterno, anche un’immagine positiva del nostro corpo. Detto questo, allora, un concorso di bellezza, cercando di misurare la grazia, l’eleganza, il fascino, (è indubbio che anche attraverso altre prove si debbano misurare questi attributi), non degrada la donna; anzi, ne celebra il suo potere sessuale, ne esalta il mistero, mediante la valorizzazione di determinate caratteristiche estetiche, perché anche la bellezza si voglia o no è elemento legato alla nostra società, pur cercando sempre di evitare eventuali discriminazioni. Concludo dicendo, che Helene Rubistein affermò: “Non ci sono donne brutte, ma solo donne pigre.”

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